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La patente a crediti? Ennesimo aggravio burocratico sulle imprese

La patente a crediti? Ennesimo aggravio burocratico sulle imprese

Il provvedimento sottola lente d’ingrandimentodi Bruno Giordano, esponente di spicco della Corte di Cassazione ed ex Presidente dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro

Patente a crediti: perplessità? Note liete?

“Non vedo aspetti positivi: è stata pensata e messa in piedi senza alcuna effettività diretta e mirata sulla sicurezza”.

Quali sono i punti che non la convincono?

“Sono molti.  Innanzitutto la sostituzione di una certificazione di qualità, già prevista dall’articolo 27, con una patente il cui scopo è autorizzare un lavoratore autonomo, una qualsiasi impresa – non soltanto quelle edili – ad operare in un cantiere dell’edilizia.

Questa forma di autorizzazione però altro non è che un’autocertificazione spedita tramite Pec senza alcun tipo di controllo effettivo da parte dell’Ispettorato Nazionale del Lavoro, impossibilitato nel verificare se i requisiti auto dichiarati siano realmente veritieri.

Dunque mi pare evidente che la patente non possa essere considerata come un riconoscimento effettivo e reale della qualità e dell’efficienza della sicurezza dell’impresa che opera in un cantiere. Ma c’è anche un altro aspetto su cui riflettere”.

Quale?

“Ogni anno l’Ispettorato Nazionale del Lavoro effettua circa 80.000 verifiche in tutti i settori: sa quanto tempo gli occorrerebbe per la verifica di questa mole di documenti presentati dalle imprese? Dieci anni almeno, sollevandolo ovviamente da ogni altro incarico. Il mio parere è che siamo al cospetto di una mera raccolta di carta; un aggravio di procedimenti burocratici a carico delle imprese, soprattutto le più piccole, e di costi ulteriori da sostenere senza nulla aggiungere in materia di sicurezza. E non si tralasci l’aspetto che questa autocertificazione ha per oggetto tre obblighi che non rappresentano alcuna novità in materia in quanto già previsti addirittura dal settembre del 1994. Morale della favola: si chiede di autocertificare qualcosa che è in essere già da trent’anni, non introducendo obblighi nuovi, né procedure, né alcuna qualificazione delle imprese”.

Quindi, da una parte un ulteriore carico di oneri e cavilli burocratici per le imprese, dall’altro invece, in caso di delitti come l’omicidio o l’inabilità permanente di un lavoratore, quel ‘qui-pro-quo’ per gli ispettori sul concetto di ‘colpa grave’…

“Lo ritengo il punto debole per eccellenza di questo sistema perché la categoria giuridica della ‘colpa grave’ è una ‘categoria dottrinaria’ in quanto non prevista dalla legge: il Codice Penale non ha alcuna definizione di ‘colpa grave’. Evidentemente qualcuno abbastanza acerbo di diritto penale ha confuso la ‘colpa grave’ con l’aggravante della colpa’, due concetti completamente diversi.

Tornando al ruolo dell’ispettore, c’è da dire che sarebbe chiamato ad effettuare una valutazione giuridica molto complessa: quella di ritenere che chi ha causato l’incidente sul lavoro non sia soltanto l’autore del fatto ma sia anche gravato da una colpa particolarmente forte. Questo presuppone un’analisi giuridica molto complessa e io dubito fortemente che un qualsiasi ispettore o tecnico siano in possesso di tutti gli strumenti, le capacità e competenze per poterlo fare.

Consideriamo che nei processi per affermare la ‘colpa grave’ nell’ambito di un infortunio ci vogliono istruttorie, dibattimenti, contraddittori, sono necessari periti e consulenti tecnici perché è un elemento molto delicato il cui accertamento è tecnico-giuridico di particolare valore”.

Come valuta il criterio di sospensione dell’impresa?

“Sospendere l’impresa significa fermarla anche nel caso in cui questa dovesse operare contemporaneamente pure in altri cantieri dove magari è tutto in regola e non solo in quello dove si sono creati i presupposti di intervento, dunque con evidenti conseguenze su tutti i lavoratori”.

Facciamo una riflessione su un evento specifico, non uno a caso ma proprio quello da cui ha preso slancio il provvedimento: il cantiere per la realizzazione di un nuovo supermercato Esselunga in via Mariti, a Firenze, dove a causa del crollo di un pilastro hanno perso la vita cinque operai. Cosa sarebbe accaduto il 16 febbraio di un anno fa se la Patente a crediti fosse stata già in vigore?

“Sarebbe successo che qualcuno avrebbe dovuto prendersi la responsabilità di sospendere tutte le sessanta imprese operative in quell’attività perché innanzitutto si sarebbe dovuto accertare quale o quali tra quelle impegnate nel cantiere avrebbe causato l’incidente. Ma per sospendere un’impresa non basta dire che questa fosse operativa nel cantiere, occorre che ci sia la prova della causalità e della colpa grave e questa è una cosa che non si può esigere dagli ispettori, anche per le conseguenze civili e amministrative: qualora poi la sospensione risultasse illegittima ci sarebbe la responsabilità per avere chiuso un’impresa”.

Il meccanismo instaurato per il rilascio della patente potrebbe quantomeno consentire una sorta di censimento-fotografia delle imprese che operano sul mercato secondo i parametri della legalità?

“Sarebbe una fotografia abbastanza sfocata del mondo dell’edilizia perché oggi un’impresa certifica dei requisiti che un domani potrebbe anche non avere più”.

In Italia abbiamo diversi organi di controllo ma continua a non esserci una Procura Nazionale del Lavoro. Da cosa dipende?

“La Procura Nazionale del Lavoro è necessaria visto che sul territorio abbiamo moltissime Procure della Repubblica che non possono specializzarsi in questa disciplina che è molto specifica e quindi richiede particolari competenze, soprattutto nella fase delle indagini. Si tenga bene a mente che competenza significa specializzazione, specializzazione significa celerità nei processi e celerità nei processi vuol dire evitare le prescrizioni. Istituire una Procura permetterebbe di costituire una regia della prevenzione tra tutti gli organi di vigilanza, che sono tanti e hanno una geografia amministrativa che non corrisponde alla geografia giudiziaria. Inps, Inail, Ispettorato del Lavoro, Asl hanno ciascuno un ambito territoriale organizzato in un modo diverso tra loro e pure rispetto alla circoscrizione giudiziaria. Mi spiego con un esempio: esistono delle province in cui ci sono due Procure ma c’è solo un Ispettorato e non c’è nessun ispettore dell’Inps o ci sono delle città metropolitane che devono operare attraverso più Asl e questo crea una disorganizzazione nella risposta che deve dare lo Stato”.

Siamo al cospetto di un provvedimento mancante dell’aspetto preventivo?

“Certamente. In Italia non si vuole fare una vera prevenzione a livello istituzionale perché ci sono troppi enti autonomi che fanno capo a più istituzioni”.

Secondo lei esiste una soluzione concreta?

“Gli incidenti sul lavoro non sono disgrazie ma omicidi che si verificano perché sussistono una causalità e una colpa. Le soluzioni ci sono, certo, e pure da molti anni: basta applicare la legge… Che abbiamo e prevede inoltre il coordinamento tra tutti gli organi di vigilanza”.

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