
Giovani in fuga, imprese in difficoltà
“I giovani sono l’oggi, non il futuro…” diceva Papa Francesco durante un intervento nella sede romana di Scholas Occurentes a Palazzo Calisto nel 2019. Come ci si ricorderà attraversavamo un momento del tutto particolare, in cui la pandemia si apprestava a bussare alla porta ed eravamo nel bel mezzo di un’emorragia che nessun Esecutivo era in grado di tamponare: la fuga di giovani dal nostro paese. Numeri da spavento, ‘addomesticati’ gioco forza dal Covid nel suo momento più cupo, il 2020-2021, ma che gli anni a venire avrebbero drasticamente rimpolpato.
Carta canta stando alle rilevazioni Istat: dal 2011 al 2023 570.000 giovani di età compresa tra i 18 e i 34 anni hanno deciso di fare le valigie e lasciare l’Italia – 100.000 solo nel 2022-2023 – con una perdita nei bilanci dello Stato che ha toccato i 9 miliardi di euro. A mitigare leggermente l’entità del fenomeno ci hanno pensato i 172.000 che nello stesso arco temporale decennale hanno fatto ritorno ma il saldo resta comunque in negativo: -377.000 (con una media mensile di partenti attestatasi tra le 2.000 e le 3.000 unità), cifra “I giovani sono l’oggi, non il futuro…” diceva Papa Francesco durante un intervento nella sede romana di Scholas Occurentes a Palazzo Calisto nel 2019. Come ci si ricorderà attraversavamo un momento del tutto particolare, in cui la pandemia si apprestava a bussare alla porta ed eravamo nel bel mezzo di un’emorragia che nessun Esecutivo era in grado di tamponare: la fuga di giovani dal nostro paese. Numeri da spavento, ‘addomesticati’ gioco forza dal Covid nel suo momento più cupo, il 2020-2021, ma che gli anni a venire avrebbero drasticamente rimpolpato.
Carta canta stando alle rilevazioni Istat: dal 2011 al 2023 570.000 giovani di età compresa tra i 18 e i 34 anni hanno deciso di fare le valigie e lasciare l’Italia – 100.000 solo nel 2022-2023 – con una perdita nei bilanci dello Stato che ha toccato i 9 miliardi di euro. A mitigare leggermente l’entità del fenomeno ci hanno pensato i 172.000 che nello stesso arco temporale decennale hanno fatto ritorno ma il saldo resta comunque in negativo: -377.000 (con una media mensile di partenti attestatasi tra le 2.000 e le 3.000 unità), cifra un convegno di qualche mese fa da Stefano Paleari, il consigliere della Ministra per l’Università e la Ricerca Anna Maria Bernini.
Se sul fronte del contrasto alla denatalità qualcosina si è mossa grazie all’ultima Manovra di Bilancio, tutto tace invece su un altro versante: l’attrattività agli occhi dei nostri giovani, che continuano ad andarsene per opportunità di studio e formazione migliori (nel 29,6% dei casi), semplice necessità (28%), o perchè alla ricerca di una qualità della vita migliore (23,2%).
A queste percentuali c’è inoltre da aggiungere il 26,2% rappresentato da chi se ne va per motivi riferibili alla sfera occupazionale e in più con la speranza di anticipare l’inserimento nel mondo del lavoro rispetto ai tempi standard del nostro paese. E infatti, stando alla relazione presentata a marzo nel corso di “Giovani e lavoro: l’attualità del pensiero di Marco Biagi”, convegno tenutosi al Cnel, l’età media di inserimento in Italia si attesta sui 24 anni per gli uomini e 26 per le donne (in Inghilterra invece 19 per i primi, 21 per le seconde, mentre in Francia 21 e 23).
Ma non finisce qui. Essere poco attrattivi agli occhi dei nostri giovani significa esserlo anche a quello degli stranieri intenzionati ad abbandonare il paese di origine per trasferirsi altrove. Non è infatti un caso che col suo misero 6% l’Italia figuri ultima anche in questa classifica europea (che vede in testa la Svizzera).
Per rendere l’idea al meglio, per ogni giovane straniero che decide di venire a lavorare nel nostro paese ne contiamo 9 che invece fanno le valigie per lasciarlo e andare altrove.